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ore 21

Fondazione Palazzo Ducale Genova

Un orinatoio diventa arte: La Fontana di Marcel Duchamp

Quando nasce l’arte contemporanea? Difficile a dirsi e ancora di più individuarne la scintilla iniziale, ammesso che ciò abbia un senso, ma se proprio si deve il 1917 parrebbe l’anno giusto: nel pieno del primo conflitto mondiale, che ha cancellato senza pietà le utopie moderniste e i radicalismi avanguardisti e dell’esplosione rivoluzionaria bolscevica, a Zurigo nasce un gruppo anti artistico quale il Dada. In effetti, se le altre espressioni d’avanguardia dell’arte del primo decennio del Novecento, per quanto rivoluzionarie, avessero tentato, con modalità diverse, di mantenere un rapporto con la realtà naturale e con la realtà storica, in qualche caso candidandosi ad essere il motore di trasformazione per una società nuova e più moderna, come nel caso del futurismo italiano e del cubofuturismo russo, il gruppo dadaista compì una scelta irreversibile: l’arte doveva essere del tutto svincolata dal mondo naturale e dal fluire della storia, anzi l’arte come espressione e come produzione era morta, persistendo solamente l’idea, il concetto. L’artista non era più organica espressione della società, ma ad essa si contrapponeva oppure vi si innestava evidenziandone provocatoriamente le incolmabili contraddizioni.
Il 1917 è anche l’anno di Fontana, un’opera di Marcel Duchamp che porta a compimento la negazione del tradizionale concetto di opera d’arte, attraverso l’ironia e la dissacrazione. Trasferitosi negli Stati Uniti da Zurigo, dove aveva partecipato alla fondazione del gruppo Dada, Marcel entra nel comitato organizzativo della mostra voluta dalla Society of Independent Artists in procinto di aprirsi a New York. Occultandosi dietro lo pseudonimo di Richard Mutt di Philadelphia, l’artista invia alla commissione organizzatrice un orinatoio (negli Stati Uniti chiamato fountain), che aveva scelto tra altri all’esposizione di prodotti sanitari della ditta J. L. Mott Iron Works, ruotato di novanta gradi, e lo firma “R. Mutt / 1917”, dove “R”, iniziale di Richard, in gergo sta per rich, ricco, e “Mutt” in assonanza con il produttore, cioè Mott, ma che nello slang sta anche per babbeo o cane rognoso e che faceva riferimento al nome di un fumetto noto al tempo. L’opera suscita una violenta reazione di sdegno e viene rifiutata, unica tra le 2.135 opere presentate, ma Duchamp, attraverso la sua portavoce Beatrice Wood, pubblica un articolo nella rivista “Blind Man”, nel quale difende il pezzo come opera d’arte, spiegando il concetto di ready-made, e ne chiede a gran voce la riabilitazione.
Fontana, pur non essendo mai esposta in originale,è diventata una delle opere di riferimento fondamentali per l’arte del XX secolo rappresentando, nello stesso momento, più livelli di significato: dalla pura provocazione nei confronti della pruderie borghese all’evocazione simbolica dell’utero (la firma Er Mutt evoca per assonanza il termine tedesco mutter, madre), dal gesto artistico come suprema distanza dal tradizionale “fare arte” al valore assoluto della concettualità rispetto alla visibilità retinica della superficie dell’opera d’arte.
Quell’episodio, oltre a rientrare nelle scelte provocatorie e dissacranti di Marcel Duchamp e rappresentare, emblematicamente, la duchampiana “opera d’arte senza artista”, mise in discussione i concetti di immoralità, utilità, originalità e intenzionalità connessi all’opera d’arte contemporanea, a cui si aggiunse l’azione della scelta da parte dell’artista, ossia il ready-made, e la conseguente risemantizzazione dell’oggetto, da utile e generico ad estetico ed unico, che l’artista, da allora in poi, mette in campo allo scopo di demolire dalle fondamenta le certezze borghesi dell’autorità, del buono e del cattivo gusto, della funzione estetizzante dell’arte e della pura percezione visiva dell’opera d’arte. La scelta anarcoide ed ironica di Duchamp spalancava così le porte all’arte concettuale e suggeriva il profilarsi dei variegati ed infiniti orizzonti dell’arte contemporanea.

rassegna: I capolavori raccontati

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