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Quando

ore 17.45

Dove

Sala del Camino

Fondazione Palazzo Ducale Genova

Di Vittorio Giacopini.
Intervengono Paolo Bernardini e Massimo Quaini

Monti, laghi, colline, forre, fortilizi e contrafforti, borghi, strade, slarghi: vedere tutto, come se si fosse per aria, e tutto rappresentare in una mappa, con dettagli minuti, badando a distanze, rilievi, proporzioni: squadrare il mondo, illuminarlo, dargli ordine. È questo l’obiettivo di Serge Victor, ingegnere-cartografo al seguito di Napoleone durante la Campagna d’Italia. Figlio esemplare dei Lumi, nemico di fole balzane e superstizioni, adepto dell’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert – alle cui parole si aggrappa con una devozione non lontana dal fideismo che la Rivoluzione si era incaricata di smantellare –, Serge Victor riceve l’ordine dal Generale in persona di riprodurre i corsi e i ricorsi della Campagna, di fermare su carta e nel tempo i nuovi confini d’Italia, che il demiurgo Napoleone, N., l’Imperatore, va ridisegnando e riplasmando, sempre più a suo piacimento. Così, mentre il còrso conquista la penisola e, non pago, invade l’Egitto, Serge lavora alla sua magnum opus, in compagnia di uno scalcinato poeta tutto sdegno e fervore e dell’ammaliatrice Zoraide, la sua Maga, che della ragione rappresenta il doppio, il sonno, e prefigura l’assedio portato ai Lumi dalle sotterranee pulsioni che, nella Storia come nell’animo dell’uomo, non conoscono sopore. Da questo assedio – più cruento di ogni battaglia scatenata da Napoleone, più spietato di ogni rivoluzione –, l’Illuminismo uscirà pesto e zoppicante, come Serge stesso, che nell’erebo ghiacciato di Russia dovrà dire addio alla giovinezza e alla forza, ma soprattutto alla fiducia nelle magnifiche sorti e progressive dell’umanità. A capitolare non è però solo un uomo o un’epoca, ma un intero genere letterario, il romanzo storico: perché La Mappa, di là dallo sfarzo di una prosa immaginifica e di una struttura narrativa monumentale, lascia presagire un’aria di disfacimento, e sancisce l’irriducibilità del reale nella forma-romanzo, e l’arbitrarietà di ogni pretesa del contrario.